Chi ha fatto saltare i gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico e a quale scopo?
Scartate, sembra definitivamente, le ipotesi di semplici incidenti, si tratta ora di capire le modalità dei sabotaggi e quale bandiera li ha commissionati. I servizi di intelligence europei dovranno indagare tutte le possibili piste, inclusa quella che dietro la vicenda ci sia la Russia.
Ma questo episodio rilancia anche la sfida di accelerare la transizione energetica verso fonti pulite alternative al gas, non solo a quello russo, essendo sempre più evidente che la dipendenza dai combustibili fossili è un elemento di grandissima fragilità per i Paesi europei.
Intanto i prezzi del gas sul Ttf olandese sono schizzati nuovamente in alto, fino a 208 euro/MWh.
Ripercorriamo brevemente quello che è successo.
Ieri, martedì 27 settembre, si sono verificate ampie perdite di gas da tre linee offshore dei gasdotti Nord Stream 1 e 2, in un tratto di mare tra Danimarca e Svezia. Mentre lunedì le stazioni sismologiche danesi e svedesi avevano registrato forti esplosioni sottomarine nella stessa area (isola di Bornholm) poi interessata dalle fughe di gas.
Nord Stream Ag, operatore del gasdotto che unisce Russia e Germania, ha affermato che ci sono stati “danni senza precedenti”.
Josep Borrel, Alto commissario per la politica estera Ue, ha parlato di “un atto deliberato”, mentre per il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, si tratta di “atti di sabotaggio” che “sembrano essere un tentativo di destabilizzare ulteriormente l’approvvigionamento energetico dell’Ue”.
Anche la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha usato il termine “sabotaggio”.
E di possibile sabotaggio ha parlato pure il Cremlino, tramite il suo portavoce Dimitri Peskov, che ha dichiarato che “nessuna opzione può essere esclusa”.
I due gasdotti, ricordiamo, non erano in funzione quando sono state rilevate le perdite di pressione e le conseguenti fuoriuscite di gas (gas che comunque era presente dentro i tubi); le perdite stanno facendo ribollire una vasta area della superficie marina, con un diametro compreso tra 200-1.000 metri.
Il Nord Stream 2, completato lo scorso autunno 2021, avrebbe dovuto aumentare sensibilmente le esportazioni di gas da Mosca alla Germania, ma Berlino ha bloccato la nuova infrastruttura in risposta alle operazioni militari russe in Ucraina.
Il Nord Stream 1, invece, dal 2011-2012 trasporta 55 miliardi di metri cubi/anno di combustibile direttamente dalla Russia in Europa.
Trasportava, perché Putin da quando è iniziata la guerra in Ucraina sta usando questi tubi come arma politica, al fine di destabilizzare i mercati, far lievitare i prezzi e incrementare le difficoltà di approvvigionamento per il nostro continente in vista del prossimo inverno.
Da fine agosto, dopo averlo fatto funzionare a singhiozzo, Gazprom ha chiuso i rubinetti di Nord Stream 1, adducendo la necessità di eseguire delle manutenzioni che però sarebbero ferme a causa delle sanzioni occidentali contro Mosca, che rendono irreperibili alcuni componenti.
Ecco perché resta il dubbio che possa essere stata davvero Mosca o qualche suo alleato a danneggiare intenzionalmente le sue stesse infrastrutture, allo scopo di far salire ancora di più i prezzi del gas e mettere a rischio le forniture invernali. Anche se va ricordato che quei gasdotti sono stati realizzati con risorse economiche russe.
Va detto che finora la Russia, nonostante il calo delle importazioni del suo gas da parte dei Paesi Ue negli ultimi mesi, ha tratto ingentissimi profitti grazie alle elevate quotazioni del combustibile, le quali hanno più che compensato la riduzione dei volumi venduti (si veda anche Tetto al prezzo del gas russo, minacce di Mosca, alleanza franco-tedesca: come si uscirà dalla crisi energetica?).
Kiev non ha tardato ad accusare la Russia di aver organizzato un attacco terroristico volto a destabilizzare le economie europee e diffondere il panico; Kiev ha anche sfruttato la situazione per chiedere maggiore sostegno militare contro gli aggressori russi.
Gli interessi in gioco sono enormi, perché la corsa europea a cercare nuovi fornitori di gas, soprattutto via nave, ha contribuito a rimescolare le carte geopolitiche.
Riproponiamo la mappa che mostra come come sono cambiati i flussi di gas verso la Ue nei primi sei mesi 2022 rispetto allo stesso periodo del 2021, tratta da un recente Policy brief di Bruegel, istituto indipendente di ricerca su temi politici-economici, basato a Bruxelles.
Si osserva il netto incremento dei volumi di Gnl dai mercati internazionali (Usa e Qatar in primis), oltre ai maggiori flussi da Norvegia e Azerbaijan, mentre le esportazioni russe si sono fortemente ridotte (si veda anche Quali sono i possibili esiti del price cap Ue sul gas?).
Peraltro, gli “incidenti” sui gasdotti russi sono avvenuti in concomitanza con il lancio del gasdotto Baltic Pipe: inaugurato ufficialmente ieri, martedì 27 settembre, a Goleniów, in Polonia, trasporterà fino a 10 miliardi di metri cubi dalla Norvegia alla Polonia. Il progetto è stato finanziato con 267 milioni di euro dalla Ue (Connecting Europe Facility), parte della sua strategia per diversificare le forniture di gas.
È solo una coincidenza? Dietro le quinte hanno manovrato i russi, dei gruppi filo-ucraini, altri Stati?
Per il momento è ancora buio sulle cause reali delle perdite di gas nel Baltico; quel che è certo, è che la Ue deve velocizzare le sue risposte alla crisi energetica, mettendo in conto che affidarsi al gas è una scelta sempre più rischiosa, a prescindere da chi lo fornisce e come.
Mentre si discute la possibilità di introdurre un tetto Ue ai prezzi del gas, ipotesi che finora ha diviso gli Stati membri, la Commissione europea dovrebbe aumentare iniziative e investimenti per ridurre la domanda di energia e sviluppare le fonti rinnovabili, le uniche in grado di assicurare una maggiore sicurezza e indipendenza energetica.
QualEnergia – 28/09/22
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